I presupposti per la pronuncia di una sentenza
in forma semplificata

1. L’articolo 60 c.p.a.

L’articolo 60 c.p.a. stabilisce che in sede di decisione della domanda cautelare, purché siano trascorsi almeno venti giorni dall’ultima notificazione del ricorso, il collegio, accertata la completezza del contraddittorio e dell’istruttoria, sentite sul punto le parti costituite, può definire, in camera di consiglio, il giudizio con sentenza in forma semplificata, salvo che una delle parti dichiari che intende proporre motivi aggiunti, ricorso incidentale o regolamento di competenza, ovvero regolamento di giurisdizione. Se la parte dichiara che intende proporre regolamento di competenza o di giurisdizione, il giudice assegna un termine non superiore a trenta giorni. Ove ne ricorrano i presupposti, il collegio dispone l’integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa contestualmente la data per il prosieguo della trattazione.

La norma in esame, introdotta nel 2000 in attuazione del principio di economia processuale, si occupa di disciplinare la fase della definizione del giudizio cautelare [1].

In particolare, il legislatore dispone che il collegio possa definire in giudizio con sentenza semplificata emessa in camera di consiglio, a condizione che:

1) sia accertata l’integrità del contraddittorio;

2) sia accertata la completezza dell’istruttoria;

3) siano state sentite sul punto le parti costituite;

4) siano trascorsi almeno venti giorni dalla notificazione del ricorso.

Il mancato rispetto di quest’ultimo presupposto, in particolare, lede il diritto di difesa delle parti intimate, come precisato dal Consiglio di Stato [2].

L’emanazione di una sentenza semplificata, tuttavia, non è possibile nel caso in cui una delle parti dichiara che intende proporre alternativamente motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza, regolamento di giurisdizione.

Se ne ricorrono i presupposti, peraltro, il collegio dispone l’integrazione del contraddittorio o il rinvio per consentire la proposizione di motivi aggiunti, ricorso incidentale, regolamento di competenza o di giurisdizione e fissa la data per il proseguimento della trattazione.

2. La sentenza numero 1752 del 14 marzo 2022 della IV Sezione del Consiglio di Stato

Il Consiglio di Stato osserva che l’articolo 60 c.p.a. richiede, quale presupposto per la pronuncia di una sentenza in forma semplificata, che sia accertata la completezza dell’istruttoria sulla base della quale il giudice formerà il suo convincimento e pronuncerà la sentenza.

In linea generale, l’istruttoria non può dirsi completa qualora un punto dirimente al fine del decidere sia controverso a causa delle vicendevoli contestazioni intercorse fra le parti e il Tar respinga una delle due prospettazioni, ritenendola sfornita di prova, accogliendo l’altra, senza aver dato modo, alla parte che potrebbe avere interesse, di compiere ulteriori allegazioni o di offrire ulteriori prove in comunicazione, qualora queste facoltà difensive siano previste dalle norme processuali.

Ai sensi dell’articolo 73 comma 1 c.p.a., le parti possono produrre documenti fino a quaranta giorni liberi prima dell’udienza, memorie fino a trenta giorni liberi e presentare repliche, ai nuovi documenti e alle nuove memorie depositate in vista dell’udienza, fino a venti giorni liberi.

Costituisce, pertanto, un’insanabile contradictio in adiecto pronunciare una sentenza in forma semplificata, riconoscendo, perciò, la sussistenza della completezza dell’istruttoria, e, al contempo, dichiarare il difetto di interesse a ricorrere, per non averne la ricorrente dato prova, malgrado l’esistenza di strumenti processuali che le avrebbero consentito di poter assolvere, pienamente, a questo onere probatorio nel prosieguo del giudizio.

L’articolo 105 c.p.a. prevede che il Consiglio di Stato rimette la causa al giudice di primo grado soltanto se è mancato il contraddittorio, oppure se è stato leso il diritto di difesa di una delle parti, ovvero dichiara la nullità della sentenza, o riforma la sentenza o l’ordinanza che ha declinato la giurisdizione o ha pronunciato sulla competenza o ha dichiarato l’estinzione o la perenzione del giudizio.

La lesione del diritto di difesa, ipotesi di rimessione al primo giudice, costituisce un vizio funzionale del contraddittorio, che si traduce nella menomazione dei diritti di difesa di una parte, che ha, nondimeno, preso parte al giudizio, perché nei suoi confronti il contraddittorio iniziale sia stato regolarmente instaurato, ma, successivamente, nel corso dello svolgimento del giudizio, sia stata privata di alcune necessarie garanzie difensive [3].

Questo vizio funzionale è ravvisato quando si riscontra la violazione di norme che prevedono poteri o garanzie processuali strumentali al pieno esercizio del diritto di difesa, quale, ad esempio, la definizione del giudizio in forma semplificata senza il rispetto delle garanzie processuali prescritte dall’articolo 60 c.p.a. [4].

Tale vizio non concerne soltanto il mancato avviso alle parti della possibilità di definire l’intero giudizio con la sentenza in forma semplificata, ma attiene alla violazione di ogni altro presupposto previsto per la pronuncia di questa tipologia di sentenza, qualora questa violazione si sia concretamente riverberata sul pieno esplicarsi del diritto di difesa.

 

Note bibliografiche

[1] Articolo 60 c.p.a.

[2] Ibidem.

[3] Ad. Pl. Cons. Stato, sent. n. 10 del 30 luglio 2018.

[4] Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 7982 del 9 novembre 2010; Cons. Stato, Sez. VI, sent. n. 5601 del 25 novembre 2013.

 

30 marzo 2022

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